70° della Liberazione - Associazione Culturale Ambrogio Viale - Cervo (IM)

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70° della Liberazione

Conferenze


Dal Risorgimento alla Resistenza - Cervo - 2 giu. MMXV


Conferenza dell'Avv. Renzo Brunetti
Vice Presidente Vicario dell'Associazione Mazziniana Italiana

Chi è Renzo Brunetti: Biografia dell'Avv. Renzo Brunetti

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L'avvocato savonese Renzo Brunetti, laureatosi a pieni voti all'università di Genova in Diritto Costituzionale, si è particolarmente dedicato a tali studi, nonché a quelli di Diritto Internazionale, Amministrativo,Tributario, Contabile, Civile e Penale.

Ha acquisito lunga esperienza nel Comitato Regionale di Controllo sugli atti degli Enti Locali e della Regione Liguria, quale amministratore della propria città, e nel Centro Studi Amministrativi di Savona di cui è stato co-fondatore, nella collaborazione a riviste specializzate e di cultura, nella partecipazione ad associazioni internazionali a livello dirigenziale delle stesse e nell'aggiornamento e nel costante approfondimento sulla legislazione vigente e sulla giurisprudenza.

Si occupa di associazioni ONLUS relative alla difesa dei diritti umani e di volontariato.

E' Vice Presidente Vicario dell'Associazione Mazziniana Italiana (AMI), associazione che propugna i principi di emancipazione morale, politica e sociale sostenuti da Giuseppe Mazzini e della tradizione politica del pensiero repubblicano,svolgendo un’intensa attività culturale e pedagogica.

Dal suo lavoro letterario “Sono un Mazziniano: una militanza civile tra pensiero e azione” , ordinato in tre parti con i titoli: “Repubblica di Popolo”, “L’Educazione dalla storia e dalla memoria”, “Europa e Umanità”, emerge non solo la formazione mazziniana ma anche la sua passione civile che traduce la vita in missione, la militanza in dimensione esistenziale, in cui risiede l’essenza della sua appartenenza fraterna al genere umano.
Il suo saggio è un insieme di “divozione laica” nei valori del progresso, cui ogni uomo, emancipandosi sul piano sia individuale che collettivo, può partecipare senza ricorrere a ipotesi provvidenzialistiche, ma al tempo stesso senza inaridirsi nelle secche del materialismo. Questa antologia di pensieri morali e libertari costituisce, in realtà, una guida nella complessità delle contemporanee società italiana ed europea, quasi ripercorrendo le grandi direttrici storiche del ‘primo’, ‘secondo’ e ‘terzo’ Risorgimento dell’Italia, della ispirazione umanitaria, avversa a ogni forma di totalitarismo che si arricchisce nel dialogo tra diverse genti, e quindi capace di far sviluppare, a livelli continentali, quei processi federativi di Popoli liberi, eguali e affratellati tra loro. La sua opera è un “vademecum” che, dalla storia italica, trae forza e identifica i valori necessari per i tempi avvenire.

Signor Sindaco, di Cervo, Signor Presidente dell'Istituto Storico della Resistena e della Storia comporanea, Signor Presidente dell'Associazione Ambrogio Viale, Signore e Signori,
Con piacere ho accolto il Vostro invito in questa giornata che, nel LXX anniversario della Liberazione dall'oppressione delle dittature, l'Italia festeggia la REPUBBLICA nel LXVII anniversario del referendum istituzionale che la volle per volontà di quel popolo che dalla recente oppressione era stato schiacciato.
Ciò indica la puntualità con la quale la Associazione Ambrogio Viale sottolinea ciascuna delle date che sono care allo spirito patriottico, ma la iniziativa con Comune ed Istituto Storico attestano altresì la sensibilità delle locali Istituzioni e dimostra che la sfera di azione si allarga, coinvolgendo ed unendo in tali "valori" le forze vitali della città e della Provincia, anche in questo lembo di Liguria così lussureggiante per natura, che tanti eroi diede alla causa del Risorgimento e della Resistenza, i Quali costituiscono un 'unicum', e che siamo orgogliosi di evocare come Coloro che per quegli ideali seppero donare la vita stessa per la nostra libertà.
Come cittadino sono orgaoglioso che vengano prese queste iniziative, proprio ed anche nei Comuni meno popolosi del nostro territorio, anche se particolarmente significativi per i contributi di idee e di eroi che diedero alla causa dell'italianità connessa all'affrattellamento dei Popoli attraverso i 'tempi'.
Quindi il ringraziamento è mio alle Vostre Istituzioni iniziatrici, perchè la Vostra opera attesta che sapete guardare al futuro "educando" -secondo il principio di Mazzini- anche nella ispirazione di un passato di onore e gloria, imperiture come e più del bronzo dei monumenti.

Lo stesso titolo di questa Conferenza riassume il contenuto di essa, poiché fissa i limiti –di poco più di un secolo, dal 1821 al 1946- della epopea nazionale italiana.
La rigorosa consequenzialità di eventi all’interno della stessa non è frutto di soggettive interpretazioni, ma dei caratteri che, di tempo in tempo, hanno assunto i ‘regimi’ che si sono succeduti.
Prima vi fu la intuizione mazziniana (precedente alla stessa fondazione della ‘Giovine Italia’), quando nel 1821, quasi sedicenne, Mazzini, essendo stato avvcinato da “un uomo barbuto, che con un fazzoletto bianco in mano, chiedeva un aiuto per ‘i proscritti dell’Italia’” (erano gli iniziatori dei moti di Alessandria di quell’anno, tra cui Santorre di Santarosa, che si imbarcavano per l’esilio dal porto di Genova) ‘pensò all’unità d’Italia’ e ad essa dedicò la sua esistenza (quando dell’Italia era delitto parlare, persino nel territorio dell’ex Repubblica Ligure).
Poi vennero le guerre di indipendenza, la spedizione dei Mille, i plebisciti di annessione, il momento dell’unificazione con la legge del 17 marzo 1861.

Si è instaurato allora un sistema c.d. ‘monarchico costituzionale’, che conteneva però le contraddizioni del precedente regime assolutistico pre - rivoluzionario .
In realtà, è la contraddizione (con la debita eccezione della Gran Bretagna, ove la monarchia costituisce soltanto l’involucro formale, nel quale, dall’alto medioevo, esistono istituzioni tipicamente garantiste) che esiste tra lo stesso istituto monarchico e la democrazia, proprio nel senso etimologico della espressione, contrapposto a quello di “Popolo”, nel quale il protagonista dello Stato non sia una persona od alcuni pochi privilegiati (‘oligarchia’), ma la collettività, unita da un “patto” (“costituzione”) che unisce tutti i cittadini.
Quella contraddizione è emersa vistosamente nei momenti critici della nostra storia, quando la monarchia –a mezzo del gen. Bava Beccaris- ha sparato con i cannoni sui lavoratori che avanzavano rivendicazioni sociali a Milano (1898), nelle avventure coloniali –sia di Libia nel 1911, sia dell’Abissinia del 1936-, durante le vicende che portarono l’Italia nei due conflitti mondiali che sconvolsero il mondo nel secolo scorso, nelle persecuzioni razziali della quali il nostro Paese fu sciagurato protagonista, nei mutamenti di alleanze , nelle fughe dalle responsabilità .internazionali.
Venne, infine, la scelta repubblicana, con il referendum istituzionale, che avrebbero dovuto riscattare un passato di ambiguità, più o meno coscienti, con il sangue dei martiri della Resistenza.

Ciò NON significa che la scelta referendaria per la REPUBBLICA e la COSTITUZIONE (prodotta dall’Assemblea eletta per redigerla), abbiano risolto le contraddiziioni alle quali ci riferiamo.
Certo, l’applicazione rigorosa e fedele delle norme proprie dell’originario ‘patto costituzionale’ avrebbero dovuto eliminare le distorsioni dei regimi precedenti, ma il mancato radicale rinnovamento della classe politica, ha consentito, nel tempo, la instaurazione di una prassi che ha sconvolto le solenni affermazioni della Costituzione, così da rendere lo stesso “stato di diritto” un coacervo di poteri in contrasto tra loro e che impediscono –a ciascun altro – l’esercizio stesso delle funzioni costituzionalmente sancite.
Gli esempii abbondano, nella società italiana, soprattutto nel secondo decennio del XXI secolo.
Infatti, la tradizionale tripartizione dei poteri dello Stato, si riduce al fenomeno, in atto, di una Corte Costituzionale che decide come organo soltanto politico ed astratto dalla realtà sociale sulla quale vanno a ripercuotersi le decisioni che emette, mentre la magistratura ordinaria ed amministrativa che si dilaniano al proprio interno ed ai diversi livelli, giudicano spesso in base a criteri di parte, in ogni caso sempre con ritardi che snaturano le statuizioni che pronuncia . Il governo aumenta la pressione fiscale, accentuando le crisi del lavoro e sociali in genere, mentre non riesce a far funzionare i servizi essenziali. Il Parlamento non solo –come già in passato- fa proliferare il sistema normativo, cosicchè spesso le leggi non risultano coordinate (e, per ciò, NON applicabili), ma pratica forme di interferenza nei poteri che la costituzione medesima riserva al Popolo (dal quale tutti dovrebbero derivare), con un sostanziale depotenziamento di tutti i poteri e l’annullameto sostanziale di quello popolare, facendo venir meno la stessa legittimazione dello Stato di diritto.
Per chì è necessaria questa lunga premessa ?
Per spiegare cosa deve essere la rievocazione della proclamazione della Repubblica per i cittadini gelosi delle prerogative ad essi riservate.
Le manifestazioni che evocano fatti storici devono servire a ciascuno dei partecipanti per comprendere condizioni di vita, pensieri ed azioni di quei nostri predecessori per giudicare se possiamo –o non possiamo- sentirci i continuatori e gli eredi di coloro che crearono le Istituzioni repubblicane e quanto invece esse risultino snaturate dalle funzioni originarie.
Quegli uomini di opposte parti politiche sapevano che il limite alla diatribe all’interno di uno stato di diritto debbono, appunto, far salve le prerogative della Repubblica, che NON debbono né possono essere messe in pericolo da incapacità dialogiche tra le componenti politiche, perché esistono “valori” costituenti patrimonio comune di ogni Popolo che appartengono ad ognuno, in base ai quali è stato pensato, redatto e sancito lo stesso patto cosituzionale, che questo è fatto di equilibri molto ‘delicati’, la cui compromissione comporta pericoli di stabilità del sistema isituzionale e che i rischi della instabilità sono quelli stessi che priverebbero i cittadini delle libertà primarie, sono quelli che danno spazio ai demagoghi, agli avventurieri, ai dittatori per privare gli associati delle prerogative naturali che caratterizzano ogni Popolo.
Restano poi i contrasti fisiologici ad ogni democrazia tra “sinistra/destra”, “chiesa/stato”, “laicità/clericalismo”, “liberali/conservatori”, “statalisti/individualisti”, riguardanti diatribe abbastanza ideologiche, in

genere giudicate superate dalla pubblicistica e dalla dialettica nel nostro secolo.
Sta di fatto che il paragone tra l’Italia e gli altri stati europei di dimensioni corrispondenti, si impone ed il nostro Paese risulta sempre agli ultimi posti della graduatoria nel rapporto di assimilazione tra cittadini e Stato, cioè la “separazione” tra essi risulta maggiore, non solo per delle ragioni di ’simpatie’, ma per i maggiori adempimenti burocratici cui gli amministrati sono tenuti per ottenere identiche prestazioni, per il maggiore carico fiscale, per i minori ‘servizi’ che lo Stato è in grado di prestare . L’elenco potrebbe allungarsi a piacere.
Non è però con lamentazioni che si modificano le condizioni di vita bensì con processi, a lungo o breve termine, capaci di produrre effetti ‘a catena’ ed in progressione di carattere economico, sociale, formativo.
Il ricordo dei sacrifici di coloro che si immolarono per la nostra libertà non può esaurirsi nel citare i loro nomi ed esaltarli; per dare un significato a quei ricordi occorre almeno dare un significato operativo alle loro aspirazioni di organizzazione della società.
Se – allora- pensiamo alle aspirazioni dei martiri del Risorgimento, delle guerra di indipendenza, dei caduti dell’ultime guerre mondiali, degli eroi dei moti popolari , se leggiamo le lettere dei condannati e morte dalla Resistenza, vediamo che pensavano ad un rapporto dello Stato con i cittadini tale da poter rendere interscambiabile i loro ruoli, perché in realtà avrebbero dovuto essere una unica realtà.===Non vogliamo ripetere frasi ad effetto, ma segnare le profonde diversità di uno Stato che si contrappone ai cittadini ed una democrazia che li rende protagonisti costanti della vita associata.
La dittatura subita dall’Italia è stata iniqua per aver teorizzato e praticato la politica di razza, ma anche per aver suddiviso i cittadini in corporazioni contrapposte e diseguali tra loro, poiché alcune –quelle dei servi del regime- che potevano impunemente sfruttare le altre.
L’idea di Stato a servizio dei cittadini senza distinzioni tra loro è opposta a quella della intrusione dello Stato nella esistenza dei cittadini, privandoli progressivamente di libertà, magari affermate ma mai ‘praticate’.
La democrazia si esercita nella pratica quotidiana, non descrivendola nei libri e negandola con le repressioni quando il popolo manifesta il proprio pensiero..
La Costituzione repubblicana ha voluto tutto ciò, mentre la ‘prassi’ della partitocrazia ha –di fatto.- rinnegato il ‘patto’ costituzionale.
Ecco perché RISORGIMENTO, RESISTENZA e REPUBBLICA sono termini tra loro indissolubili, nei quali si riassumo gli unici valori della nostra esistenza pubblica ed ecco perché ci onoriamo di celebrarli, come ‘gioielli’ della coscienza civile .

Veniamo ora a parlare della “resistenza” quale momento conclusivo, e primario, di quell’epopea.

La Liguria, con i panorami marini e montani che –con ambienti diversi- paiono contendersi l’attenzione dell’osservatore, sono, al tempo stesso, espressione dei contrasti di questa terra di profumi, di essenze, di frutti, di vegetazione variegata, di salsedine, di antri marini, di picchi, di forre, di balze, di casolari che –quanto più paiono appena posati sui monti-, tanto più sono saldati con le rocce sulle quali si fondano. Terra quindi ideale per la ‘guerra per bande’ per dirla con Carlo Bianco, che, all’alba del Risorgimento, teorizzava forme idonee per la guerriglia, soprattutto di fronte a forze preponderanti per uomini e mezzi.
Certo, può apparire un po’ fuori moda trattare o ricordare le guerre, i sacrifici, i “tempi grami”, non solo perché lontanissimi dalla
opulenta società dei consumi, ma soprattutto perché alle generazioni del XXI secolo riesce difficile anche immaginare le condizioni di una guerra totale sull’uscio od all’interno delle nostre stesse case, talora ad opera di non italiani, od , addirittura, di appartenenti alla nostra stessa città o borgo.
Eppure, quando, poco prima della metà del secolo scorso, nel 1943, il capo del nostro stato e coloro che egli aveva chiamato al governo avevano abbandonato (fuga c.d. “di Pescara”) l’esercito ed il popolo inermi alla mercé dei tedeschi, nuovi “nemici”, che fino al giorno prima, si trovavano sul nostro territorio quali alleati nella guerra mondiale scatenata quattro anni prima dalla follia del dittatore tedesco e dalla megalomania di quello italiano, il popolo, la gente, nei paesi, nelle città, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle caserme o sui campi di battaglia furono chiamati ad una scelta, quasi esistenziale.
Anche i meno coraggiosi si trovarono di fronte a situazioni che imposero loro di scegliere almeno la prospettiva nella quale intendevano svolgere la loro funzione di cittadini, uomini e donne, componenti di una comunità.
Per la prima volta cioè il popolo italiano si trovava di fronte alle alternative –sempre tragiche- che pongono le guerre civili.
Sono facili , a questo punto, le digressioni magniloquenti tra tirannide e libertà, tra passato ed avvenire, tra progresso ed oppressione.
La scelta, per coloro che ebbero la lucidità di compierla, fu, più semplicemente, tra umanità e distruzione, tra uomini e bruti, non tanto perché, anche coloro che ci oppressero, non avessero nella loro storia, grandi uomini, pensatori, letterati, filosofi, artisti, quanto perché anche i popoli, come gli individui, hanno le loro esaltazioni, le loro “follie” di tipo collettivo, che magari li esaltano, per intere generazioni.
La lunga digressione era necessaria per dire che la “resistenza”, la guerra partigiana, la guerra di liberazione, quella che dall’8 settembre 1943 si produsse quasi per generazione spontanea nel nord Italia, non fu una serie di casuali atti di ribellione contro l’invasore tedesco, ma fu reazione al sopruso, alla negazione della stessa natura umana.
Che poi tutte le guerre siano astrattamente ‘ingiuste’, che l’uomo non debba comminare la morte ad altro uomo, che il dialogo debba prevalere sulla ferocia dell’umano genere per conciliare gli opposti, sono principi della civile convivenza, che le condizioni di “necessità” talora impongono di sospendere proprio per ritrovare (e ristabilire) quei ‘principi’ e quelle ‘regole’.
Così, in quei lontani giorni di fine estate, con un esercito senza conduzione ed il venire meno di ogni responsabilità statuale,
Mussolini, ormai fantoccio del camerata tedesco, credette poter rinnovare la sua dittatura, con i simboli della morte delle sue ‘brigate nere’.
Ed i liguri, come i piemontesi ed i lombardi, per primi si sollevarono in una protesta armata pur con armi sproporzionate alla forza dei carri armati germanici.
Così sorsero i primi nuclei di giovani che, raccimolate poche armi per difendersi (ed insieme per sottrarsi alla scelta liberticida di unirsi
agli oppressori), abbandonarono le case e presero le vie dei monti.
Vorrei –a questo punto- parlare tanto di questi nostri monti, così aspri e familiari, così scoscesi nei loro precipizi e così protettivi per custodire e preservare chi con prudenza e fiducia si affidi alla loro ospitalità.
Ma sarebbe “poesia” !!!!
Parlando di ‘poesia’, il nostro pensiero va subito a quello tra quei giovani che nei primi giorni della lotta, quando più lontana appariva la ‘luce’ della ‘liberazione’, proprio in queste contrade, sospinti dallo sdegno contro la forza bruta, componevano quei versi e quelle note che divennero l’inno della “Resistenza”. Proprio da questi dirupi si levava al cielo per la prima volta, quell’inno ai valori umani, che divenne la canzone della resistenza italiana, quel “fischia il vento, urla la bufera …” pronunciato da uomini che erano –come sono stati- pronti a tutto donare per il futuro dell’umanità, rinunciando a ciò che avevano di più caro. Felice Cascione completò quell’inno alla capacità dell’uomo libero di vincere la forza bruta, pensato al Pizzo d’Evigno, proprio tra i monti, di ‘Casone dei Corvi, in valle Pennavaire, ove nacque anche l’ “Addio Oneglia bella”, sull’aria dell’ “Addio Lugano bella” degli anarchici del XIX secolo, ed il “Vieni Maggio” sull’aria del Nabucco.
Erano gli uomini che, spinti dal “vento della Libertà’, donavano tutto, nulla tenevano per sé, per la fiducia nel progresso e nella capacità di noi, che a loro siamo sopravissuti, di creare una migliore società.
Erano nostri conterranei, Cascione come Cotta, Realino come Carcheri, Serrati, Maraboli, Taccagno, Ghirardi, Giordano.
E così questi nomi, che altrimenti non ricorderemmo, per aver creato una canzone, voluto il primo CLN, liberato con ardite azioni i compagni caduti prigionieri, donato vita, averi, affetti alla causa, passano alla storia per aver saputo compiere una ‘scelta’ che li costituiva simboli di prerogative di cittadinanza.
Ciò che hanno compiuto con la Rersistenza è stata la capacità di elevarsi dalla condizione di singoli uomini a quella di SIMBOLI della Umanità intesa, come “non potevano” gli uomini delle dittature, che negavano la fratellanza, deridevano la eguaglianza, e ciò dopo aver soppresso ogni libertà altrui (che non fosse quella interiore ed insopprimibile, sufficiente però a ricreare quella materiale in ciascuna società umana).
Credo comprendiate che non vorrei fare una “celebrazione a “schema”, non vorrei evocare alcune date, vorrei far risorgere in noi quegli stessi stimoli che portarono gli uomini della resistenza alle loro “scelte” di vita” perché noi potessimo raggiungere libertà e repubblica, perché l’Italia potesse riscattarsi dalle follie dei torturatori, con il sangue dei martiri, proprio come avevano fatto quegli antichi eroi del Risorgimento quando tra vita e morte scelsero la seconda, pur di garantire le prima alle future generazioni.

E’ il senso del divino insito in ogni uomo che fa aggio sugli egoismi quando la barbarie sembra prevalere.
E’ la forza del pensiero che si fa azione, è il “verbo” che si fa carne ed è la storia che si traduce in “idea”.
Siamo così alla definizione della “resistenza”, che NON è soltanto una guerriglia armata, non è soltanto il sacrificio di giovani vite per difendere la libertà delle generazioni future, non è solo reazione a brutalità, torture, angherie, vendette.
Prima di tutto “resistenza” è continuità di pensiero tra un “primo” ed un “secondo” risorgimento a cavaliere dei secoli XIX e XX, nei quali – tra innumerevoli contraddizioni – gli italiani hanno ritrovato la “patria” non contrapposta ad altre nazioni, ma pur valorizzando le ‘diversità’, hanno compreso i tempi futuri, nella unione delle soggettività nazionali, hanno riscoperto l’Europa, della ‘Giovine Europa’ di Mazzini del 1834, come quella del manifesto di Ventotene, del 1943, non a caso sorto dalla meditazione di uomini ‘al confino di polizia’, che –di proposito- la dittatura voleva escludere dalla società.
Pensare alla “limitazione di quelle sovranità” che avevano dilaniato l’Europa, diffondere concetti di organizzazione internazionale aventi il fine di unire i “diversi”, perché potessero valorizzarsi i singoli ed accrescere le conoscenze: non erano solo ‘teorie’, bensì programmi politici, che ormai si imponevano alla coscienze.
Quegli uomini di aspre battaglie, compresero ed insegnarono che l’avvenire doveva costruirsi superando le barriere, se volevamo
salvaguardare le medesime prerogative dell’”uomo” sconvolto dagli orrori delle guerre del XX secolo.
Non erano renitenti agli obblighi militari che si sottraevano alle responsabilità, erano uomini prematuramente chiamati alle responsabilità di tutelare la popolazione dai soprusi degli invasori, che esponevano le loro persone ai disagi della montagna e la loro vita ai pericoli della guerriglia per mostrare al mondo che molti in Italia sapevano rinunciare a tutto pur di negare la barbarie, non attenuata da sofisticati compiacimenti cultural – letterari – misterici del nazismo, che negava i “valori umani” alla ricerca di miti di razza, che la natura contraddice.
Ed in questo terra di confine, ove erano ancora sanguinanti le ferite sociali delle asprezze dei primi giorni successivi alla entrata in guerra, quando nel 1940, l’Italia aveva aggredito la vicina ‘sorella latina’, gli uomini della “resistenza” ritrovarono gli accenti comuni agli spiriti liberi, che anteponevano l’umanità alla barbarie.
Questo è il significato dei primi episodi, che –ad esempio- videro sorgere, nel dianese, ben quattro CLN , uno mandamentale ed altri
addirittura comunali nei quattro comuni di Diano M, Diano Castello,
Diano S.Pietro. Diano Arentino e quello di Cervo – San Bartolomeo.
In quel 1943, a distanza di poco più di cento anni, in quelle giornate, risorgevano, nelle stesse terre, le iniziative nel taggisasco dei fratelli Ruffini, dei Cuneo nell’imperiese. Pareva di rivivere certe pagine del ‘Lorenzo Benoni’, con i primi, incerti ‘palpiti’ di iniziative proiettate ai grandi destini, della Italia unita nel XIX secolo, della “Italia libera e Repubblicana” in quello scorcio della prima metà del XX secolo, agli albori della “resistenza”.
Così i nomi di battaglia dei ‘resistenti’ riecheggiano quelli della grande rivoluzione, sorgono i ‘Danton’ (Pietro Virgilio, presidente del CLN di Diano Arentino), i “Robespierre” (Silvio Ascheri), i “Bron” (Angelo Ricca) dello stesso Comitato. I rappresentanti dei partiti dell’epoca pre – fascista danno vita ai vari CLN e quindi ai primi raggruppamenti partigiani.
Abbiamo già nominato alcuni membri del CLN di Diano M. , quali Bruno Serrati e Franco Maccagno, Antonio Ghirardi e Giovanni Cotta. A Castello Giuseppe Aicardi e Domenico Bianchi, Remigio Novaro ed Agostino Arimondo non si limitano a formalizzare qualche riunione, ma assumono iniziative per viveri alla popolazione e qualche rifornimento ai giovani che negli ultimi mesi del 1943 avevano preso la via dei monti.
A Cervo San Bartolomeo, in Val Steria, od a mare , germogliano le iniziative dei resistenti. Nel febbraio ’44 a Capo Rollo lavoravano ad uno sbarco di mateteriale da un sommergibile (poi fallito, che citiamo per elencare la molteplicità di iniziative dapprima eterogenee, poi sempre più coordinate).
Membri del CLN di Cervo S.B. sono Domenico Muratorio, Giuseppe Conti, Natale Ardoino, Carmelo Arimondo, Giuseppe Roncallo, Gerolamo Elena, Domenico Bianchi, Carlo Gimondi.
A Villa Faraldi si costituisce persino un sotto comitato, di cui faranno parte Fortunato Grosso, Giovanni Martini, Ottavio Ardoino, Gerolamo Elena, che ospitò anche Maria Baiardo, madre di Cascione, dopo che questi venne ucciso in combattimento il 17 genn. 1944 ad Alto.
Ho già detto che, proprio nel dianese, sorgono le prime organizzazioni della Resistenza. Voreri citare soltanto le date di costituzione dei diversi CLN: quello di Diano Castello si costituisce il 20 sett. 1943 (con G. Aicardi, Domenico Bianchi, Remigio Novaro, Agostino Arimondo); quello di D.Marina, del quale già ho citato i compoenti, si costuì sette giorni dopo, e nel novembre dello stesso anno, quello di D.Arentino, con Pietro Virgilio, Anotnio Ghirardi, Angelo Ricca e Silvio Ascheri; solo il CLN di D.S.Pietro si costituirà nell’anno successivo, dopo che in precedenza, i suoi componenti aivano nei due Comitati già costituiti.
Infatti, con le truppe tedesche che continuavano i rastrellamenti di patrioti anche nei singoli abitati, erano indispensabili coordinamenti stretti, continuativi, puntualiper gli spostamenti.
So bene che sono troppi coloro che NON nomino, mentre di tutti dovrei avere tempo e spazio per narrare la storia, talora struggente ed emozionante, altre volte appassionante ed eroica.
Le omissioni sarebbero troppe, onde i nomi evocati costituiscono soltanto un campione casuale dei molti che vorrei nominare.

Credo però sia preferibile rilevare due aspetti della resistenza del dianese ed imperiose in generale.
Innanzi tutto le iniziative resistenziali furono tra le prime della intera regione; inoltre furono quelle più diffuse a livello di base, coinvolgendo al massimo la popolazione civile, che “scontò” quella partecipazione alla lotta partigiana, subendo incendi, rastrellamenti ed eccidi. Esemplare, in proposito, la solidarietà diffusa che salvò la madre di Cascione dalla cattura, quando, ricercata, dalla casa di Elena a Villa Faraldi, passò in una casa vicina, poi a Molin del Fico, in casa di “Cimin” Ventoso, ed infine nel finalese (quasi evocando , nel ricordo, la fuga di Garibaldi dalla Liguria sabauda del 1833)
Anzi, proprio in questa solidarietà che cresce tra i partigiani ed i loro sostenitori e diminuisce nelle forze degli oppressori e dei loro servi italici – della c.d. ‘repubblica sociale’- troviamo un carattere saliente della lotta di liberazione nella zona.
Come dal confine italo – francese era partita l’offensiva di guerra del ’40, così non distanti da quello stesso confine, insorgevano gli uomini delle nuove libertà, per il riscatto dalla ignominia della guerra .
Larga fu la partecipazione alla resistenza di uomini che già facevano parte od avrebbero appartenuto alla massoneria, dopo il lungo silenzio cui le logge erano state costrette dal colpo di stato succeduto al delitto Matteotti del 1924..

Erano uomini come Alfredo CREMIEUX, di origini ebraiche ed iniziato negli ultimi anni prima della dittatura, che dopo l’8 sett. 1943 nel territorio di Sanremo rappresentò il PRI in tutte le iniziative della Resistenza, come Antonio CRUA  che Comandate Partigiano in Val Pellice e Val Varaita sarà decorato della medaglia d'argento al Valor Militare Partigiano.
Persone della tempra di Ugo FRONTERO, che non si era mai piegato durante la ‘lunga marcia’ attraverso la dittatura, entrarono nel primo CLN provinciale ad Imperia, (quale addetto militare, ma anche come rappresentante di coloro che nel nome del ‘trinomio’ massonico avevano conservato una operosità di gruppo).
Antonio GHIRARDI , con gli antifascisti di Diano Arentino, organizzò persino in casa sua un centro di informazioni e pronto soccorso dei partigiani ed ospitò persino il comando di brigata.
Salvatore MULTINEDDU che dopo l'8 settembre, alla veneranda età di 74 anni, prende parte per quel che può alla Resistenza.
Erano comandanti partigiani (segretario 1° zona Liguria) come Francesco OCCHINI –il ‘Cecco’ quale nome di battaglia; erano uomini che con le loro imprese, scrissero intere epopee, come Aldo QUARANTA, che riusciva persino a ‘passare le linee’ per operare in coordinamento con gli alleati; diffusori di pensiero, come Domenico SARTORE , fondatore del CLN di Taggia , proprio il 20 sett. 1943, che fu altresì l’uomo dei ‘colpi di mano’ partigiani in Valle Argentina , ove operavano anche Renato BOERI, appena ragazzo, che tanta parte avrebbe avuto negli anni successivi nelle comunioni massoniche italiana e francese ed Aldo CHIARLE, che, dopo la Liberazione, avrebbe dedicato la sua intera vita al giornalismo sociale ed all’internazionalismo e le cui ceneri riposano a Roma, nel cimitero del Verano, tra i GG..MM.. della Comunione massonica.
Domenico SIMI, nipote di Sartore, che già il 9 sett. 1943 si era impadronito di armi in una caserma di stanza a Sanremo, in montagna diventò il comandante ‘Gori’, liberatore di prigionieri politici in Taggia e sabotatore di impianti in Valle Argentina.
Giuseppe VIANI che col nome di battaglia “Rolando” organizzò e diresse operativamente i GAP di Imperia ed il 25 Aprile venne nominato dal CNL Vicequestore di Imperia.

Erano persone coscienti di rinunciare ad onori, guadagni, affetti, per trasformare l’Italia, da terra di nacchere e spaghetti , a risorta Patria di eroi, di gente operosa, creatrice, affratellata con gli altri Popoli, quanto custode ed assertrice della propria identità, di gente libera e di buoni costumi.
Erano coloro che ispirarono e vollero le Costituzioni della Repubblica Romana del 1849, come quella della Repubblica Italina del 1948.
Come i ‘santi’ sugli altari, i ‘martiri’ che difesero la libertà dell’Umanità non hanno tra loro ‘graduatorie’ perché tutti esercitarono in misura eccezionale ‘virtù’ che vorremmo possedere.
Noi, uomini di un’età in cui crescono nuove barbarie, dobbiamo conoscere e riconoscere quei comportamenti quali “mezzi” che diedero i risultati scritti nelle rocce delle montagne bagnate dal sangue dei difensori di civiche libertà, conoscere e riconoscere il patrimonio che ci tramandarono, custodirlo con la consapevolezza del suo valore, ma soprattutto con l’ambizione di non doverci vergognare di noi stessi, di fronte alla Loro memoria.
R.B.


FRAMASSONI DELLA RIVIERA CHE PARTECIPARONO ALLA RESISTENZA


Alfredo CREMIEUX: dopo l'8 settembre 1943 costituì, con altri esponenti dell'antifascismo sanremese, il primo gruppo organizzato di resistenza, nel quale rappresentò il Partito Repubblicano Italiano. Arrestato dalle SS nel marzo 1945 fu sottoposto all'usuale trattamento riservato ai prigionieri politici. Venne riconosciuto Patriota con attestato n.3312 emesso dalla Commissione Regionale Riconoscimento Qualifiche ed Esame Proposte Ricompense ai Partigiani.
Antonio CRUA:  l'11 settembre 1943, quale ufficiale della Scuola di Cavalleria, si raduna  con altri antifascistiii e ufficiali a Barge, dando vita all'organizzazione dei partigiani dell'Alta Valle Po, della Val Pellice e della Val Varaita. Assume  “Naini”quale nome di battaglia, nome che verrà assunto anche dalla squadra partigiana di cui è Comandante. Con essa combatterà valorosamente a Pian del Re, a Crissolo, a Ostana meritando la Medaglia d'Argento al Valo Militare Partigiano.
Ugo FRONTERO:  coltivò sempre ideali antifascisti e l'8 settembre 1943 venne nominato membro del CNL di Imperia quale addetto militare e nel quale rappresentò il Partito Socialista Italiano. Dopo la Liberazione venne nominato dal CLN Vice Sindaco di Imperia e contestualmente Assessore ai Lavori pubblici. Rivestì anche la carica di Vice Presidente dell'Unione Industriali di Imperia.
Antonio GHIRARDI: laureato in filosofia fu escluso nel 1939 dai concorsi e poi sospeso dall'insegnamento a causa delle sue idee antifasciste. L'8 settembre 1943 si rifugiò , con altri giovano antifascisti, nella sua piccola casa di Diano Arentino dove installò un centro di raccolta informazioni e di pronto soccorso per tutti i partigiani della Zona. Fece parte del CNL mandamentale di Diano Marina quale rappresentante del Partito Liberale Italiano e per qualche tempo ospitò presso la sua abitazione il Comando di Brigata.
Salvatore MULTINEDDU: Sardo di Tempio Pausania è già Maestro Massone nell'anno 1899. Laureato in Letteratura alla Scuola Normale Superiore di Pisa insegna in vari ginnasi italiani. Nel 1922, professore al Liceo Classico di Tivoli, diventa con il Partito Socialista Italiano Vice Sindaco della Città. Nel 1923  subisce un'aggressione  e la devastazione della casa dalle squadre fasciste, allontanato da Tivoli viene trasferito a Chieri ma appena insediato viene sospeso  dall'insegnamento in quanto massone. Nel 1925 si trasferisce ad Imperia dove vive impartendo lezioni private ed aggiustando orologi arte che aveva imparato a Ginevra. Dopo l'8 settembre 1943 prende parte per quanto può, avendo allora oltre 74 anni, alla Resistenza: Dopo la sua morte, avvenuta da Imperia nel 1953, il Comune di Tivoli gli ha dedicato riconoscente una delle principali strade della Città.
Francesco OCCHINI:  fece parte dall'8 settembre 1943 al 25 aprile del 1945, con il nome  di battaglia “Leo”, della delegazione militare del Comando 1a  Zona Liguria con l'incarico di segretario. Il certificato del Comando operativo attesta “Svolse sempre con attività intensa il suo lavoro; in ogni campo diede la sua opera, con coraggio, anche quando maggiore era il pericolo; fu arrestato; il suo comportamento fu degno e meritevole; prima di ogni cosa pose sempre l'idea e il desiderio della lotta per la libertà”.
Aldo QUARANTA: dopo l'8 settembre 1943 ad Entraque, dove abitano i genitori, raduna intorno a se giovani e sbandati della IV Armata e comincia l'azione partigiana in Val di Gesso. “Aldone” entra nelle formazioni di Giustizia e Libertà, assume il Comando della 3a Banda del Raggruppamento “Italia Libera”, poi quello della Brigata Gesso “Ildo Vivanti”. Nel febbraio 1945 gli viene affidato il Comando della 1a Divisione Alpina Giustizia e Libertà che controlla le Valli di Boves, Vermenagna, Gesso, Stura e Grana e di qui parte per liberare Cuneo il 28 Aprile 1945. dopo la Liberazione riorganizza il Partito Repubblicano Italiano, diventa Sindaco di Entraque e Consigliere Regionale.
Domenico SARTORE: fu fondatore il 20 settembre 1943 del CNL clandestino di Taggia, organizzando nella Valle Argentina, colpi di mano per il procacciamento di viveri ed armi. Costituitasi la Brigata SAP Guido Bendinelli fu incorporato nella stessa con il nome di Porthos dove portò a termine, come sempre con passione, intelligenza e puntualità, pericolosi incarichi.

Domenico SIMI: nipote di Domenico Sartore, il 9 settembre 1943 a seguito di un tentato colpo di mano per impadronirsi delle armi custodite nella caserma del presidio di Sanremo è costretto a fuggire e a rifugiarsi con pochi compagni in montagna, mentre sua moglie viene arrestata per rappresaglia. Assume il nome di Comandante Gori e con pochi compagni libera i prigionieri politici delle carceri di Taggia. Poco tempo dopo fa saltare il ponte  dell'Officina in Valle Argentina disarmando i militi che lo presidiano. In poco tempo il suo gruppo supera i cento uomini e i vertici del CLN lo accorpano nella V Brigata Garibaldina L.Nuvoloni, come III Battaglione Candido Queirolo. Il Battaglione al suo comando partecipa a numerosi scontri armati contro le truppe Nazifasciste ed il 22 aprile 1945 in un rabbioso combattimento contro le SS sul Mongioje viene ferito gravemente ad una gamba. Trasportato in barella, a braccia, dai suoi partigiani raggiungerà Taggia il 25 Aprile giorno della liberazione.
Giuseppe VIANI:  l'8 settembre 1943 si trova militare ad Udine. Sfugge ai Tedeschi ed il 10 arriva ad Oneglia dove, con antifascisti e giovani che non rispondono alla chiamata alle armi, organizza una forza armata partigiana. Mette a profitto tutte le sue conoscenze militari tecniche ed organizzative: scrive a macchina una gran quantità di istruzioni per l'impiego delle armi di cui dispongono i partigiani. I partigiani si strutturano con i GAP che dipendono operativamente da Viani e lo stesso prende il nome di battaglia “Rolando”. Il 25 aprile viene nominato dal CLN Vicequestore di Imperia, carica che ricopre per circa un anno. Nel 1946 riesce a far valere il suo titolo di studio e viene nominato Ispettore delle scuoElementari, nomina che gli fu negata nel 1933 perché già componente della Massoneria.

Notizie tratte da:“La Riviera dei Framassoni“ di Filippo Bruno. Centro Editoriale Imperiese 2011

La nostra storia in musica:
Al termine della conferenza dell'Avv.Renzo Brunetti, sono stati eseguiti cinque brani, aventi per tema il Risorgimento e la Resistenza.
Su questa pagina avrete la possibiltà di ascoltare le versioni originali e di leggerne i testi, affinchè possiate cogliere appieno il senso e l'importanza dei messaggi in essi contenuti.

Foto di Renzo Boscolo

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