Ringrazio il presidente dell’Associazione “A.Viale” Vernazza delle espressioni che ha usato nel presentarmi nonché l’Amministrazione Comunale e la stessa Associazione della iniziativa.
Quando mi è stato chiesto di ricordare il duecentesimo anniversario della nascita di Andrea Rossi, che ricorre quest’anno, ho subito accettato perché, senza campanilismi (mal si adatterebbero alla epopea risorgimentale), credo davvero che questa nostra Liguria, costituita da gente magari “stoundaia” nel tratto, ma di sentimenti di profonda solidarietà, come, in realtà, è lo stesso mare che ci nutre ed unisce le genti, abbia apportato un contributo essenziale alla UNITA’, che trova in personaggi come Mazzini, Garibaldi, Mameli, i Ruffini, Rossi, Elia, Cuneo, Nicolò Ardoino, Canzio, Bixio, Campanella, le fondamenta del proprio essere Popolo, nella “alleanza universale dei Popoli “ secondo la formula mazziniana, che ha ispirato gli impulsi primigenii di una generazione di eroi.
So bene che quando parlo del Risorgimento, le espressioni che uso rivelano un certo sentimentalismo patrio, ma credo che sia necessario mostrarci come siamo, molto concreti quanto credenti in quell’ideale che ha animato i nostri Maggiori, se vogliamo costruire ancora il futuro della generazioni che verranno, come essi hanno fatto per noi.
Di sette anni più giovane di Garibaldi (nato a Diano Castello il 14 ago. 1814), Andrea Rossi conobbe Garibaldi in quel mare che vede oggi tante tragedie di migranti in cerca di futuro e di lavoro.
Rossi era un mozzo sulla nave ‘Muraglia’ al comando del capitan Dodero di Boccadasse, mentre si trovava a 26 miglia da Sciacca, verso Pantelleria, a scirocco, (da Marettimo per Cerigo) nel luglio 1831, quando questa avvistò un ribollire di acque, con fumo, una grande effervescenza del mare, senza tempesta: era una isola di circa 6 o 7 chilometri, delle quale NON esisteva traccia sulle carte nautiche, che emergeva dalle acque. Nell’occasione avvistò anche un altro veliero’- il “Clorinda” di Nizza, comandato dal capitano Pesante di Sanremo-, diretto a Marsiglia, già posto in ‘panne’ dal quale si era staccata una scialuppa.
Anche il capitan Dodero dispose che una scialuppa della ‘Muraglia’ andasse a verificare quanto stava accadendo, con il secondo, un marinaio ed il mozzo di bordo.
Giunti in prossimità di quei ‘bollori’, gli uomini delle due barche si riconobbero tutti per ‘liguri’; della ‘Clorinda’ parlava un giovane biondo “come un Nazareno’ (secondo Gustavo Chiesi che ne riferisce); dalla barca della ‘Muraglia’ parlava il mozzo. Fu allora che il giovane biondo chiese “di dove siete” ed il mozzo rispose “di Diano Marina”; “ah, bene”, concluse il giovane biondo “dite al vostro capitano che segni questo punto sulla carta, c’è un vulcano che esce dal mare; presto ci sarà un’isola nuova”. Era quella che -con vita molto breve- fu denominata dagli inglesi Graham, dai Borboni ‘Fernandea’”. Il Giovane disse chiamarsi Giuseppe Garibaldi di Nizza ed augurò buon viaggio agli uomini della ‘Muraglia’. In quei giorni, Mazzini, a Marsiglia, fondava la “Giovine Italia” nel cui nome tante imprese compirono nell’America meridionale quel giovane marinaio e quel mozzo, pochi anni dopo. Essi, infatti, si ritrovarono a Montevideo, tre o quattro anni dopo, quando, a seguito dei moti del 1833 - 34, Garibaldi riuscì a fuggire -molto ‘fortunosamente’- da Genova ed Andrea Rossi abbandonò il servizio sul brigantino nazionale “La Teti”, comandato dal capitano Pierangioli e per tale diserzione fu condannato a sei mesi di carcere nel novembre 1837.
Da allora - eccettuata la breve parentesi della Repubblica Romana- Rossi fu con Garibaldi, partecipando alle sue imprese, della quali gli vennero affidati gli aspetti che oggi diremmo “tecnici”, cosicché potremmo, oltre a definire Rossi il “pilota dei Mille” (secondo le definizione attribuitagli quando nel 1911 la sua Città lo onorò con il monumento che tuttora in essa si ammira) , anche il “genio di Garibaldi”, con un affettuoso doppio significato del termine, sia come ‘geniere’ delle imprese garibaldine, sia come amico e stretto sodale del condottiero dei Mille, anche nei momenti di delusione e sconforto, come durante le giornate che precedettero la partenza da Quarto o quando, nella solitudine di Caprera, dopo la impresa dei Mille, meditava sulla ‘ingratitudine’ di un monarca al quale aveva donato un regno.
Torniamo però al Rossi, del quale abbiamo tratto molte informazioni dal testo del Biga, ottimo per storia locale, come dal Barrili (Anton Giulio nato a Savona nel 1836), che, considerando maggior vanto della propria vita la sua partecipazione alla spedizione di Mentana, da uomo di profonda cultura, amò Garibaldi e l’ambiente garibaldino (del quale Rossi fu tanta parte) così da coglierne i sentimenti, gli impulsi, le generosità, il contributo reale per l’Italia, sia per renderla una e libera, sia per donare una patria ad Italiani che la ricercavano, non fosse altro per fruire della dignità nazionale, come ogni altro Popolo. Naturalmente le “Noterelle” di Abba sono preziose sempre sulla spedizione che unificò l’Italia, come i ricordi del Bandi -per quanto circoscritti alle vicende vissute dal protagonista- sono vividi come una pellicola trdimensionale.
Al di là delle questioni tra “Repubblica” e monarchia, che apparentemente divisero Garibaldi da Mazzini, in realtà, il tema centrale del Risorgimento sta nell’intuizione mazziniana delle aspirazioni di genti politicamente divise, unite dalla lingua, dalla cultura, dalla storia. A quella intuizione restarono fedeli coloro che nella ‘Giovine Italia’ avevano provato i primi impulsi politici, come Garibaldi ed i garibaldini che con lui condivisero la fede della “Patria”, compresi quelli che entrarono in parlamento e nelle istituzioni monarchiche dell’Italia unita.
Rossi, come Garibaldi, Cuneo, Melegari, Belgrano, Anzani, Baez, Risso, si ritrovano quindi nell’America del sud.
Garibaldi, come noto, raggiunse Rio dopo i moti del 1834, Rossi conosceva le via dell’esilio sud-americano nell’autunno 1837, dopo la diserzione.
Cuneo pubblicava un giornale che circola tra gli esuli italiani, Garibaldi attribuiva ad un suo battello il nome di “Mazzini” e, trattandosi di giovani ricolmi di ideali libertari, si preparano alle patrie battaglie, difendendo la libertà di popoli oppressi del nuovo continente.
Il Rio Grande si rende indipendente dal Brasile e vuole costituirsi in repubblica. Garibaldi accorre con un suo brigantino, per partecipare alla causa dei repubblicani riograndesi, che occupano Laguna e nel 1839 Garibaldi comanda la (pur modesta) flotta del Rio Grande.
Nel 1840, poi Garibaldi raggiunge l’Uruguay e Montevideo e nel 1842 comanda la flotta di questa repubblica, che difende la propria indipendenza contro il dittatore argentino Rosas, che vuole annetterla.
Il 5 lug. 1842 Garibaldi rimonta il rio Paranà, con la piccola flotta ed a Nueva Cava a ferragosto sconfigge l’avversario. L’anno successivo costituisce la “Legione Italiana”. Non è questa la sede per evocare le “invenzioni”, “trovate”, “azzardi” di Garibaldi in quelle campagne, ma, stante la ‘vocazione’ di Rossi per il “genio” non è difficile immaginare che questi, in quelle tattiche abbia avuto massimi ruoli. Gli esuli italiani che vi partecipavano, in genere, erano in condizioni economiche tanto modeste che, nei periodi nei quali non guerreggiavano, svolgevano lavori normali, per garantirsi la sussistenza. Rossi è tra questi.All’inizio del 1844, Rossi comandava un legno mercantile sardo denominato ‘Aurora’, e si adoprò perché gli uruguayani rilasciassero dei piemontesi che avevano trattenuto per armare navi da guerra.
Come ricordato in occasione dell’inaugurazione del monumento dianese nel 1911, certo è che Rossi partecipò alla celebre battaglia di Sant’Antonio al Salto l’8 febbraio 1846, quando Garibaldi, con duecento uomini a cavallo - comandati da Baez- , sulle colline attorno a Taperi, viene assalito da un esercito di 1200 cavalieri e 300 fanti. Non è certo questa la sede per narrare le vicende di quella battaglia (che dir eroiche sminuirebbe i fatti e che forse meglio potrebbero definirsi ‘fantastiche’). L’esito fu che la Legione Italiana distrusse la fanteria ed i cavalieri avversari si ritirarono. Pare che Rossi abbia partecipato anche agli scontri di Paysandù nel dicembre successivo.
Poiché le notizie richiamano gli esuli alla difesa della Patria, molti rientrano in Italia nel 1848; all’inizio dell’anno rientra Rossi, il 15 apr. Garibaldi parte da Montevideo ed approda a Nizza il 15 giugno.
Questo è il solo periodo (1848-1859) in cui la ‘storia’ di Rossi si distingue da quella di Garibaldi.
Infatti nel 1851 si sposa con una donna che porta il suo stesso cognome, dalla quale avrà otto figli, naviga al comando di navi di varie proprietà, si occupa di coltivazione delle sue terre, allarga le sue conoscenze, si occupa di tecnica navale, del costruendo porto di Diano Marina, ed il Comune, nel 1858, chiede a Rossi di presiedere una commissione che raccoglie fondi per concorrere alla costruzione.
In questo periodo, i rapporti con Garibaldi, soltanto epistolari, continuano, come accade -anche se usano il rituale “voi”- tra due vecchi amici.
Infatti, non appena Vittorio Emanuele e Cavour offrono a Garibaldi il comando dei “Cacciatori delle Alpi”, Rossi, Augusto Elia, Giacomo Medici, Agostino Bertani, Nino Bixio, Cosenz, Ardoino, accorrono alla chiamata del generale, in Cuneo e Savigliano il 7 apr. 1859. Rossi entra nello stato maggiore.
Varese e San Fermo segnano i successi dei “Cacciatori” in quella guerra, ma, saliente (anche se la campagna stava per finire, appena cominciata, quando, nel luglio, intervenne l’armistizio di Villafranca) è il divieto posto a Garibaldi di attaccare gli austriaci nei territori che occupavano sul Garda (come Riva); i ‘Cacciatori’, secondo il comando, avrebbero dovuto mantenersi in territorio piemontese e quindi, giunto a Salò, Garibaldi avrebbe dovuto attraversare il lago se voleva contrastare gli austriaci posti alla difesa del c.d. “quadrilatero” (Mantova), per poter poi raggiungere da settentrione quella Venezia, ch’era rimasta il miraggio dei garibaldini, dieci anni prima, usciti dalla Repubblica Romana nel 1849 e dispersi nella valli di Comacchio, quando, alla città della laguna, si dirigevano dal meridione.
Fu così che, con l’organizzazione di semplici barche, non certo destinate a servizi militari, Andrea Rossi, cui Garibaldi aveva affidato il compito, è riuscito a “trasferire” via lacuale, i ‘Cacciatori’ sull’altra sponda del lago, ove, purtroppo, li raggiunse l’armistizio e la fine del sogno -l’annessione di Venezia- che soltanto nel 1866 si sarebbe concluso.
Neppure Garibaldi e Rossi, in quel momento, potevano immaginare che tutto ciò avrebbe costituito una specie di ‘anticipazione’ dell’impresa (del Rossi, all’interno di quella “grande”, per l’Italia unita) di organizzare, dopo la conquista della Sicilia, lo sbarco dei garibaldini in Calabria.
Nella grande epopea di ‘Mille’ sfugge ai molti l’attività di singoli.
Ma, con un certo vanto, per il “garibaldino dianese dei Due Mondi” dobbiamo ricordare che la minuziosa organizzazione delle barche raccolte in tutta l’isola, consentì il primo e terzo sbarco in Calabria delle corroborate file dei garibaldini all’assalto non tanto di una monarchia, quanto di un metodo ‘borbonico’ di governare i Popoli.
Non era, secondo Tommasi di Lampedusa, la volontà di “cambiare tutto, per non cambiare nulla”, e non era solo l’ansia di squarciare le sbarre delle segrete in cui venivano tenuti i patrioti di quelle terre, era la aspirazione ad un diverso rapporto tra cittadino e stato, anche se, e fino a che, esso non è stato affermato con la Costituzione della Repubblica Italiana del secolo XX e non verrà attuato nel rispetto della dignità internazionale di ogni Popolo.
Questi erano i sentimenti della vigilia a ‘villa Spinola’, questi saranno gli indirizzi del “dittatore di Salemi”, questa la forza che animava gli assalti del “Pianto dei Romani” a Calatafimi, tutto ciò aveva un nome solo, quella “ITALIA” per la quale i giovani si immolavano, in un sacrificio di sangue, che faceva sorgere nuovi germogli per l’umanità intera. Fu però durante la spedizione dei Mille che A.Rossi ebbe occasione di mostrare sagacia, coraggio, e perfetta consonanza con gli ordini di Garibaldi, tanto da costituire uno dei contributi centrali del felice esito dell’impresa.
Come noto, da Quarto a Marsala dal 5 all’11 mag.’60, Garibaldi e quasi tutto lo stato maggiore, erano imbarcati sul ‘Piemonte’ (comandato da Castiglia e che aveva Andrea Rossi quale ‘secondo’ . Esso precedeva il ‘Lombardo’, comandato da Bixio, che avrebbe dovuto seguirlo a vista).
Già tale traversata, pare un ‘romanzo’ in sé, tante sono le incertezze dei volontari, i contrattempi prima della partenza e durante il viaggio, i dubbi sulla rotta da tenere e sulla stessa destinazione della spedizione.
Di quel ‘romanzo’ sono protagonisti lo stesso Garibaldi ed il Rossi, il primo nell’impartire gli ordini, il secondo intuendoli, prima ancora di eseguirli, e rassicurando i volontari, infine Bixio nel momento in cui, in vista di Marettimo e Favignana , i due bastimenti hanno corso il rischio di non riconoscersi nelle brume del mattino (dell’11 mag.), mentre i legni borbonici li inseguivano.
Penne ben più famose -come Dumas e persino quella dello stesso Garibaldi, che letterato non era- hanno celebrato i dettagli di quei frangenti; per ciò in questa sede NON li evoco quasi per il rispetto dovuto ai grandi narratori dell’ “epopea”. E’ certo che l’intuizione del Generale e l’intelligenza del pilota hanno mostrato quale fosse la intesa dei due nel tradurre i disegni in azioni concrete. Il contributo del Rossi nella spedizione fu tanto articolato ed essenziale, che riesce persino difficile illustrarlo. Dopo lo sbarco e l’incendio dei bastimenti, la prima grande e determinante battaglia di Calatafimi (dove G.avrebbe -in dialetto ligure- detto a Bixio “qui si fa l’Italia o si muore”) aveva mostrato ai siciliani ed al mondo intero, non solo il valore e la determinazione dei Mille, ma la loro consapevolezza che la posta di quella impresa era la stessa unificazione dell’Italia e quindi che nessun sacrificio sarebbe stato vano.
Rossi restò indenne in quella battaglia, che tante perdite e feriti produsse tra gli attaccanti, e creò vero panico tra i borbonici, che, da quel giorno, cominciarono a “favoleggiare” sulla ‘fortuna’ dei garibaldini, o per ‘trame’ oscure, o per strani sortilegi.In quei giorni, Rossi si recò a visitare i compagni feriti, dapprima nel convento di Vita (poco distante da Calatafimi), poi a Partinico, la città simbolo, ove i patrioti dell’unità d’Italia si erano sollevati anche prima dello sbarco di Marsala, che resterà cara al ‘Pilota dei Mille’ tanto che ad essa -in seguito- egli intitolò una barca. Dopo Calatafimi, riuniti al cascinale Mistretta, G. formò due reggimenti (comandati rispettivamente da Bixio e Carini) e due colonne (comandate da Orsini e Castiglia) che si riunirono quindi in unica brigata “marinai ed artiglieri’. Dei “marinai” facevano parte, oltre a Rossi, il Castiglia, l’Elia, Achille Campo e Giuseppe Orlando.
Garibaldi restò alla guida dei due reggimenti, che, in ore notturne, con molte fatiche, per la mancanza di strade, trasferì a Marineo e quindi ad oriente di Palermo, mentre le due colonne vennero dirottate sulla via di Corleone e poi verso Giuliana Sambuca e l’interno ove erano inseguite dai borboni, guidati da Von Mechel. Rossi faceva parte della ‘colonna’ che si diresse verso Corleone, con l’intento - pienamente riuscito- di far apparire in ritirata i volontari ed abbandonata l’impresa, mentre il grosso dei Mille aggirava Palermo dalle alture, per attaccarla poi da est anzichè da ovest. Frattanto, la colonna Orsini restava priva di notizie circa l’esito della battaglia di Palermo, tanto che il suo rientro in città avvenne solo dopo la conquista definitiva il 19 giu., mentre quando giunsero loro notizie di Garibaldi e degli altri reggimenti garibaldini il 29 maggio, Rossi -che, di fatto, era già aiutante di Garibaldi- si riunì allo stato maggiore in Palermo (ove, tra altri, incontra Bandi, gravemente ferito a Calatafimi) e chiede quindi di potersi recare a Partitico per visitare compagni feriti e malati. Palermo venne sgombrata da tutti i borbonici il 19 giu. 1860. Erano giorni fondamentali per la spedizione: la ‘colonna Medici; partita dopo il 5 maggio, da Cornigliano e Livorno, il 17 giugno giungeva a Castellamare del Golfo e Rossi -frattanto (il 20 giu. 1860) promosso ‘capitano’ ed aiutante del generale- si univa ad essa, in marcia lungo la costa nord, verso Milazzo.
Il 18 lug. 1860, G. -che aveva assunto la dittatura a Salemi, nominò pro-dittatore il Sirtori, ch’era anche capo di stato maggiore.
A Milazzo il 20 lug. 1860 si combattè un’altra sanguinosa -quanto vittoriosa- battaglia.
Soprattutto le “trame” della diplomazia internazionale, imponevano però a Garibaldi di stringere i “tempi” dell’avanzata e preparare lo sbarco sul continente, in gran segreto.
Rossi, che frattanto era stato promosso ‘maggiore’, continuava ad occuparsi del ‘genio’ e si trasferì a Patti, ove riceveva gli ordini del Sirtori - capo di stato maggiore generale- per apprestare le barche che avrebbero dovuto trasportare i volontari sulle coste calabre, concentrandole da Palermo su Torre del Faro a Messina . Esse - nella ultima decade di luglio- vennero, con molta metodologia e preparazione di segnalazioni, suddivise in squadre, con relativi comandanti di ciascuna. In quegli stessi giorni, Bertani stava organizzando la c.d. “spedizione Terranova” o brigata Pianciani, dal nome di un conte mazziniano che l’aveva finanziata e dapprima la guidava. Rossi, il 4 ago. 1860, per ordine del Sirtori, si recò a Genova da Bertani per assumere il comando di tale brigata, la quale, negli intenti originari, avrebbe dovuto puntare su Roma e che, per pressioni da parte del governo piemontese, dopo un trasferimento a Golfo Aranci, venne sciolta,con confluenza di molti appartenenti ai volontari garibaldini dei Mille. Rossi rientrò quindi rapidamente in Sicilia, tanto che il primo sbarco (8-9 ago. 1860) fu pensato, organizzato, guidato con successo ed ultimato proprio dal dianese. La dislocazione di quello sbarco, di non rilevanti proporzioni come numero di volontari trasferiti sul continente (poco più di un migliaio), fu strategicamente essenziale, perché convinse i borbonici che Cariddi e Scilla , o Torre del Faro e Reggio erano i luoghi programmati per il passaggio sul continente. Il secondo sbarco, quello del ‘grosso’ della spedizione (oltre 3.000 uomini), invece, avvenne pochi giorni dopo (19 agosto) a Melito, sulla costa ionica, guidato dallo stesso Garibaldi che, nuovamente, sorprese i borbonici con una di quelle ‘intuizioni’ o tattiche che lo resero geniale quanto imprevedibile nelle soluzioni più ardite. Il 21 agosto avvenne poi il terzo sbarco di garibaldini in Calabria, a Favazzina.
Considerato di completamento (di esso facevano parte i volontari comandati da Cosenz ed i carabinieri genovesi del Mosto) pur essendo stato interrotto parzialmente dall’intervento degli assediati, riuscì sostanzialmente nello scopo, non solo perché R., che dirigeva anche questo, potè rientrare in Sicilia, come previsto, ma perché consentì a tutti i volontari sbarcati di prendere saldo possesso della costa calabra ed al grosso dei garibaldini di approdare sul continente.
Infatti, con tale possesso, tutti i volontari poterono concentrarsi a Paola (3 sett.1860) e da qui, guidati da due ufficiali dello stato maggiore, tra i quali il Rossi, vennero imbarcati sulla nave Governolo della marina sarda e trasferiti nella zona di Napoli, ove avrebbero preso le posizioni che li portarono alla battaglia finale del Volturno. Ancora davanti a Capua -il 19 sett. 1860 (lo stesso giorno in cui cadde Francesco Sasso, altro dianese dei Mille) - troviamo menzionato Andrea Rossi -che era ‘maggiore’- tra i volontari che si distinsero nella battaglia quando, caduto il col. Puppi, comandante della brigata Bologna, ne assunse il comando, riorganizzò la brigata.stessa, riportandola al combattimento.
Poi fu Teano il 6 novembre 1860.
Non è mia intenzione trasferire in questa sede le ‘fonti’ (Barrili, Biga, Bandi) da cui traggo elementi per tratteggiare la vita di Rossi. E’ certo però che Rossi, rimasto nella marina italiana (nella quale subì, come tutti i volontari garibaldini, l’umiliante trattamento dell’arretramento rispetto ai gradi loro conferiti sul campo nel corso della spedizione. Infatti venne dapprima riportato al grado di ‘luogotenente di vascello di prima classe’; poi promosso a ‘tenente di vascello’ il 7 apr. 1861 e solo il 1 lug. 1887 elevato a quello di ‘capitano di vascello’, quando da tempo era in pensione) assunse il comando di porti e specificamente prima quello di Messina (17 nov. 1860) poi quello di Trapani (25 giu. 1861) e di La Spezia.
Era infatti comandante a La Spezia (nominato nel marzo 1862) quando Garibaldi -‘con le luci fise a Roma’- venne ferito in Aspromonte (29 ago. 1862) dalla truppe governative e trasferito -in stato di ‘quasi detenzione’- al Varigniano (un forte nei pressi di La Spezia), ove peraltro riceveva la visita e l’omaggio di molti ‘italiani’ che in Lui continuavano a riconoscere il simbolo della avvenuta unificazione.
Proprio in quel 1862 nacque una figlia del Rossi, che egli volle chiamare Giuseppina Adelaide, con i nomi del padrino -Giuseppe Garibaldi- e della madrina -Adelaide Cairoli-. La madre degli eroici fratelli Cairoli, che, come prima Eleonora Drago Ruffini, molto soffrì per la morte e le sorti dei propri figli, i quali dedicarono l’intera vita all’Italia e l’Eroe dei due Mondi (entrambe affaticati dagli anni, dai dolori e dalle malattie, tutti e due vennero rappresentati al fonte battesimale da loro delegati - nel carteggio Rossi a Diano M. esistono le rispettive deleghe. Certo è che anche quando (andò in pensione il 31 ago. 1865, pur essendo stato richiamato l’anno dopo durante la terza guerra di indipendenza per qualche mese) passò alla vita civile (nel 1861 aveva raggiunto 47 anni), rimase strettissimo il rapporto di Rossi con Garibaldi e quasi tutti i suoi compagni d’arme sopravissuti, tanto che Biga (Vita di Rossi pag. 417 e nota 271 ivi) citandone la morte -avvenuta il 14 dic. 1898, lo dice “confortato dalla presenza dei familiari e dagli stessi principi morali e politici che furono quelli del suo grande ‘Maestro di Caprera’” (ed in nota aggiunge: “da molti anni Andrea Rossi era iscritto alla Massoneria”). Fu proprio in base alle indicazioni di Rossi che venne redatto il ruolino dei Mille (anch’esso fortunatamente rinvenuto in tempi recenti), per i riconoscimenti da parte del Governo dei gradi e titoli raggiunti dagli interessati. Basterebbe scorrere l’elenco dei suoi corrispondenti , quando, assunto il comando del porto di Messina, passò alla vita civile, per constatare che l’esperienza a fianco all’Eroe dei suo Mondi segnò la esistenza di Rossi.
Nel 1881, quando Garibaldi era ad Alassio, il ‘pilota dei Mille’ lo visitò per l’ultima volta (anzi, D.Mascarello, che pure ha scritto della vita di Rossi, narra che Garibaldi avrebbe ricambiato la visita in Diano M., pur essendo infermo e solo in vettura). Farei però torto ad una lunga e gloriosa biografia (Rossi visse 84 anni) se non richiamassi i molti interessi ch’egli ebbe per la città di Diano (nelle vicende per la costruzione del porto e nelle iniziative civili).
Nel 1887 visse le terribili ore del terremoto di Diano Marina e per soccorrere la popolazione Rossi non esitò a rivolgersi ai suoi amici Stefano Canzio (genero di Garibaldi) ed Augusto Elia (compagno dei Mille gravemente ferito a Calatafimi e miracolosamente salvato dalle fereti colà riportate) che frattanto ricoprivano pubblici incarichi nelle istituzioni del regno.
Quando l’Amministrazione Comunale venne sciolta il 23 ott. 1893, Rossi fu nominato Commissario Straordinario.
Le citazioni biografiche del personaggio non sono effettuate per ricordarne date ed eventi, ma per mostrare, con la molteplicità delle circostanze ed occasioni, che Rossi. non fu soltanto un combattente delle battaglie risorgimentali, non solo fu dedito agli ideali con i quali si realizzò l’Unità d’Italia -il grande sogno del XIX secolo-, ma fu uomo nel senso pieno del termine, perché dai fasti ed eroismi dei campi di battaglia, seppe trasferirsi, con altrettanta dedizione, ai compiti di ‘cittadino’, nelle diuturne incombenze del governo pubblico e privato, con la stessa naturalezza, con la quale , da ‘geniere’ organizzava e realizzava gli sbarchi Garibaldi. Ecco allora riproporsi un domanda che non vuol sminuire il ruolo dei “Grandi” “sulle spalle dei quali dobbiamo ergerci” se vogliamo avere visione degli sviluppi della storia, ma relativa alla stessa capacità di Coloro che sono chiamati alla guida delle comunità a realizzare gli ideali per la vita e la storia dei Popoli: senza uomini in grado di tradurre in realtà i grandi disegni, cogliendone istantaneamente la portata e l’essenzialità, governando insieme la vita normale delle comunità, la storia riuscirebbe a farci progredire od i Popoli non subirebbero ‘sbalzi’ insopportabili quanto incomprensibili. Senza Uomini come coloro che sanno essere i “secondi” dei “grandi” ed i primi degli “altri”e che, soprattutto, assolvono a doveri primari verso l’Umanità intera, nel tentativo di sospingerla verso il progresso civile e politico, cosa saremmo, noi posteri se non ‘legni senza nocchiero’.