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CERVO NEI VERSI DEL
"SOLITARIO DELLE ALPI"
Suoi svaghi la pesca e la caccia
Al paese dedicò due volumi di poesie:
nella sua fantasia lo definisce ora "deserta rupe"
ora "paterno sasso, pietroso ciglione"
Durante l'esilio nella accogliente Torino, il nostalgico ricordo della terra natale era sempre stato per il "Solitario delle Alpi" motivo di melanconico rimpianto. A Cervo infatti aveva trascorso i giorni felici della sua prima giovinezza; ma, "nemo propheta in patria", era passato fra la indifferenza dei suoi compaesani che, intenti com'erano alle loro faccende in terra o in mare, non avevano prestato soverchioascolto ai suoi versi. "...che ignoto sempre era il mio canto – E indifferente ai rozzi abitator dell'Appennino, -
Suoi svaghi preferiti erano stati la pesca e la caccia, "e le reti e gli augelli un dì mia cura" che riprendeva quando dalla rumorosa vita cittadina veniva risospinto a godere degli "amici silenzi" del borgo natale. "Stanco del pazzo civico furore, -
Dovette essere un provetto appassionato cacciatore cui non mancava un buon fucile, la "fulminea canna – Terror dei coturnici e di fuggiasche – Pavide lepri", un ottimo cane da caccia, il fido "Lua", e le gabbiette per i richiami. "O cacciator con invischiate canne – I semplici ingannava augei del colle, -
Se si eccettuano questi brevi accenni alle sue occupazioni venatorie, il ricordo della famiglia, del padre, delle "tenere germane" e del fratello minore "che sì leggiadro appare", di Cervo ci dà soltanto qualche tocco, quasi una pennellata di pittore impressionista, nel quale sia rimasto impresso il lato meno ridente del paesaggio.
A Cervo dedicò due suoi volumi di poesie. Nei "Versi", sono i gran sassi "...del cui fianco immoto – Al vasto urtar delle rompentisi onde – La maestosa vista in seno infonde – Di soave terror fremito ignoto", a suggerirgli i lugubri pensieri del suo canto; nelle "Rime" è la "...sublime rocca, -
La vita cittadina, prima a Genova indi a Torino, lo tenne lungo tempo lontano dal paese di cui però rimpiangeva una maggior serenità di spirito e di pensiero. "Nella tacita mia rupe ferale – Di pochi agi contento io mi nascondo – E alto sdegnando le follie del mondo, -
Nella sua fantasia Cervo si trasforma ora in deserta rupe, ora in alpestro, paterno sasso, in pietroso ciglione, in erma rocca, in scosceso dirupo... "Col vivace pensier veggo ed osservo – Del meriggio al fulgor splender di Cervo – Il soleggiato tacito dirupo".
"...già gronda – Dalle marine umide rocche il flutto – Con fioco suono e lo scoglioso golfo – In eco lamentevole risponde".
A render poi più suggestiva ancora la cupa visione di quelle scogliere non tralasciava animarle con il volo del passero solitario che, andando di grotta in grotta, univa a quella dell'onda la voce del suo maestoso canto. "E lo vetusto mio dolce compagno – Passer solingo che soave piange".
L'accenno a questo melanconico cantore amico della solitudine non è raro nei suoi versi; ad esso dedicava pure le strofette di una poesia, in tono però quasi gioioso, forse suggerite dal canto e dalle movenze di leggiadra modesta fanciulletta. "Tu in gioco occulto – D'augelli garruli – Fuggi il tumulto, -
Al passero solitario, con arte sublime e più elevato sentimento, un illustre infelice poeta dedicherà poi uno degli immortali suoi canti sicchè qualcuno non esclude che al Leopardi fossero capitate fra mano le poesie del nostro Solitario.
Quando poi a Torino vide crescere attorno a sè consensi ed incoraggiamenti, stimando sincere le lodi al suo canto tributate da amici poeti, tra i quali la giovine poetessa "Diodata di Saluzzo", così si esprimeva in un saluto inviato sull'ali del vento alla terra lontana: (1793)
"...o annoso – Padre Aquilon, se a rivedere talora – Torni quell'erta mia rupe montana, -
Da "Echi di storia" di Ettore Deferrari, illustrazioni di Dino Durante.